Storia di donne in bicicletta
 
Andare in bicicletta non è difficile solo oggi. Ai bei tempi, infatti…
Una donna in bicicletta? Scandalo!
di Alfredo Nicoletti
 

Storia di donne in bicicletta
 
Andare in bicicletta non è difficile solo oggi. Ai bei tempi, infatti…
Una donna in bicicletta? Scandalo!
di Alfredo Nicoletti
 
Fino a non molti anni fa nelle chiese, alla fine di ogni messa domenicale, i parroci, dopo avere letto gli avvisi e gli orari delle funzioni, erano solito indicare con nome e cognome, i parrocchiani che, a loro insindacabile giudizio, avevano mantenuto un comportamento scandaloso.
Non so in altri luoghi, ma a Verona questa odiosa usanza medievale veniva chiamata essar diti in ciesa, essere detti in chiesa. 
In una domenica di primavera del 1910 Susanna M. ed Ettore N. erano stati detti in chiesa.
Susanna aveva venticinque anni, Ettore solo diciannove, ma cosa avevano fatto di tanto grave da meritare questa scomunica, erano forse amanti?
No, i due si conoscevano appena, si erano incontrati e parlati soltanto un paio di volte nella loro vita.
Lui, poi, era già fidanzato con Rosetta e non avrebbe mai osato farle un torto: Rosa era fulva di capelli e delle rosse aveva la bellezza e il carattere.
Ettore era sì di simpatie socialiste e un anno prima aveva avuto uno scambio di pareri con due regi carabinieri che abusavano della loro autorità con gli avventori dell’osteria della madre, la vecchia Zenona.
La discussione si era conclusa con i due militi a terra ed Ettore nascosto nella fattoria dei baili in Val D’Illasi per un paio di mesi.
I carabinieri erano tornati due o tre volte a interrogare i presenti al fatto ma, stranamente, nessuno ricordava di avere mai veduto quel giovane, d’altronde tra la prospettiva di passare un paio di giorni al fresco per reticenza e quella di venire esclusi vita natural durante dall’osteria la scelta era scontata.
Ma non era stato questo a far infuriare il prete, in fin dei conti Ettore era sì un po’ una testa calda, ma apparteneva a una famiglia stimata, era un gran lavoratore, costruiva biciclette, la sua attività era già fiorente e, nonostante la giovane età, dava lavoro a un paio di apprendisti.
Susanna era una ragazzona bionda di sana costituzione e di sette fratelli era l’unica femmina.
La sua era una famiglia di carrettieri, il nonno aveva iniziato a trasportare ghiaia e sabbia a metà dell’Ottocento quando gli Austriaci stavano costruendo i nuovi forti posti a difesa della città dopo la prima guerra d’indipendenza.
Anche Susanna faceva la carrettiera.
Si alzava prima dell’alba e scendeva all’Adige con il caratteristico carro a due ruote dalle alte sponde trainato da un cavallo di grossa taglia.
Caricava il materiale e si avviava lentamente verso uno dei tanti cantieri aperti in città.
Obbligatoria la sosta a Tombetta da Ampelio, l’osteria chiudeva alle due e riapriva alle quattro, caffé con il rhum o bicchiere di grappa, al ritorno, verso le otto, altra fermata per la colazione vera e propria, trippa in brodo e pane.
Susanna faceva tutto quello che facevano i fratelli e gli altri carrettieri, bestemmiava anche, come un carrettiere appunto, e fumava. La pipa.
Ma andava in chiesa tutte le domeniche e si confessava regolarmente, la sua moralità, a parte qualche moccolo, era fuori discussione.
Cos’era allora che aveva scatenato l’anziano prete contro i due?
Susanna aveva un sogno segreto: la bicicletta o meglio, il velocipede, come si diceva allora, un mezzo fino a quel momento riservato esclusivamente agli uomini.
Li vedeva sfrecciare velocissimi su queste nere macchine futuriste luccicanti di nichelature e aveva deciso che ne avrebbe avuta una.
Ettore aveva già costruito da qualche tempo un telaio per bicicletta da donna e aspettava che la prima temeraria si facesse avanti.
Per Susanna convincere il padre era stata dura, aveva rimediato anche un paio di sberle, ma alla fine l’aveva spuntata e nel giro di una settimana pedalava felice per le strade polverose del quartiere in sella alla fiammante bicicletta.
Ecco, la sella, questo era il punto dolente. La sella!
Preti e benpensanti se potevano tollerare, in qualche modo, l’esibizione di pochi millimetri di caviglia nella pedalata, non potevano assolutamente pensare né tantomeno accettare che le parti intime femminili appoggiassero e sfregassero su un oggetto dalla forma e dalla consistenza decisamente sconvenienti come una sella da bicicletta.
Ecco il motivo dell’anatema contro chi aveva costruito e chi usava l’osceno mezzo di trasporto. Dopo la pubblica denuncia molti presero a prendere in giro il povero Ettore per strada e all’osteria, gridandogli che aveva finito di costruire biciclette per le donne.
Si sbagliavano: era solo la prima, ne sarebbero seguite molte altre.